L’architetto polacco Daniel Libeskind con l’opera del museo ebraico raggiunge un livello di sintonia molto alto fra ideazione architettonica e organizzazione museologica; molteplici sono anche i riferimenti all’origine progettuale che vanno dalla stella di David, ad un’opera musicale, all’elenco dei deportati berlinesi fino alla data del 1948.
Libeskind su questo progetto scrive anche un testo intitolato Between the lines, “ fra le righe”, esse sono due le linee del suo pensiero, come quelle di ogni pensiero: una dritta, ma ridotta in pezzi, e una complessa e articolata ma infinita ad indicare il rapporto duale che intercorre, ad esempio, tra fede e azione, fra credo politico e risposta architettonica.
L’architetto ripropone questa dicotomia nel progetto dove due linee diverse tra loro si intersecano: una è quella a “zig-zag”, segno fulminante, duro e violento che cambia direzione in continuazione e non è geometricamente controllabile, derivante da una matrice esagonale distorta, lontano ricordo di una stella a cinque punte, l’altra è una striscia vuota fortemente percepita dal visitatore che taglia la fabbrica in due dalle fondamenta alla sommità, un luogo isolato traduzione spaziale della linearità della tradizione ebraica e testimone della sua drammatica assenza.
L’opera si organizza su cinque livelli: il piano sotterraneo oltre che ad aree destinate agli archivi, ai depositi, agli impianti, alla sicurezza, ospita la mostra permanente del judisches vero e proprio mentre il primo piano è dedicato a mostre temporanee, i due livelli superiori contengono sale dedicate alla storia del teatro, alla moda, alla storia della città e l’ultimo piano è destinato ad uffici.
L’intero museo all’esterno è uniformemente rivestito di fogli modulari di zinco con andamento diagonale, che lo connotano come una macchina bellica, interrotti dagli squarci dirompenti delle bucature in contrasto con la regolarità dell’altezza della fabbrica.
L’interno è racchiuso da pareti in cemento armato in faccia a vista e l’ortogonalità delle altre pareti bianchissime è interrotta da drammatiche bucature asimmetriche tutte diverse tra loro.
L’ingresso principale è posto nel vecchio museo adiacente per poi scendere sottoterra e risalire alla visita del dipartimento ebraico del museo e da qui tre possibili percorsi che si intersecano: il primo ad est conduce agli spazi espositivi, è quello della storia che dalle radici dell’uomo ascende verso il futuro; ciò è reso attraverso una galleria e una scalinata ascensionali di cui l’ultima è rastremata verso il fondo facendola apparire ancora più lunga di quanto non sia al visitatore che la percorre e in alto il suo spazio è interrotto da pilastri a sezione quadrata disposti in maniera irregolare.
Gli altri percorsi riguardano le altre due possibilità che la storia ha offerto al popolo ebreo: lo sterminio o l’esilio. Il primo simboleggiato da una torre chiusa, gelida, senza condizionamento, con una luce molto molto flebile proveniente da un ritaglio trapezoidale del cielo,è il cosiddetto memoriale dell’Olocausto, un luogo di angoscia e di meditazione. L’altro è un giardino esterno dedicato al poeta e compositore E.T.A. Hoffmann, un giardino a pianta quadrata che contiene 47 pilastri a sezione quadrata cavi ed inclinati che rappresentano dei cannoni che simboleggiano i mezzi di sterminio all’interno dei quali sono inserite delle piante di ulivo; tutto ciò costituisce un complesso motore per la nostra mente che ci induce a rimettere tutto in discussione.